Gigi Sacchetti: «Scrivo poesie ea Dublino cantavo per strada con Bono. Il gol più bello di Belgrado »- CorrieredelVeneto.it

2021-11-29 11:14:22 By : Ms. Amy Li

Gigi Sacchetti e Giancarlo Antognoni, grandi amici dai tempi della Fiorentina

"Una vita da centrocampista" di Ligabue gli starebbe benissimo. Non era un campione del mondo come Lele Oriali, non questo, ma Gigi Sacchetti era uno di quelli che mangiavano l'erba e lì in mezzo facevano un mucchio. Gli sherpa del centrocampo, ma con buoni piedi. Ha cucito e ricucito il ragazzo calabrese, tanto che quella grande penna di Valentino Fioravanti, cantante di racconti gialloblù per l'Arena di Verona, lo ha battezzato «Cantante»: «Valentino geniale - sorride -. Quando ero a Firenze mi chiamavano “Rainer” in omaggio a Bonhoff, il grande centrocampista degli anni '70 con il Borussia Mönchengladbach e la nazionale tedesca».

Gigi Sacchetti, mediano, poeta e rock nell'anima; La mettiamo giù così? "Va bene. La mia è la storia di un ragazzo del profondo sud che ha fatto tanti sacrifici. Mi piaceva giocare a calcio, scrivere poesie e scrivere tutto in un diario per raccontare certi periodi della mia vita; quanto al rock, il mio la canzone preferita rimane “Bad loser” dei Fleetwood Mac: racconta come nella vita si può perdere e crescere attraverso la sconfitta. Un bel messaggio in un mondo dove conta solo vincere e dove i meno fortunati sono sempre più emarginati. Ma lo sai che io cantava con Bono...?"

Ma veramente? Storie… «Era il Natale del 2003. Con mia figlia Giulia siamo andati a trovare mio figlio Matteo che studiava gestione alberghiera a Dublino. Siamo andati nella via dedicata al grande chitarrista irlandese Rory Gallagher. C'era un vecchio con una chitarra accanto a un ragazzo con gli occhiali scuri che cantava. Mia figlia lo ha riconosciuto e una lacrima è scesa dalla sua emozione. "Cosa ti sta succedendo?" Le ho chiesto. "Papà, quello è Bono", rispose. Ci siamo avvicinati e mi sono ritrovato a cantare "One" con lui. "Se conosci Rory Gallagher, sei un esperto di musica", mi ha detto. Ci siamo abbracciati. Penso che per mia figlia vedere suo padre cantare con Bono in una strada di Dublino sia stato uno dei momenti più belli della sua vita. "

La sua storia parte dalla Calabria. Ricordi? "Tantissimi. Sono nato a Reggio Calabria, cresciuto nella piazza antistante lo stadio dove mio padre aveva il suo negozio di barbiere. Passavo i pomeriggi sulla spiaggia di Calamizzi, la mia università. Portavo i libri; leggevo sempre tanto, andavo bene a scuola, vinsi una borsa di studio con un tema che metteva a confronto Dante con Boccaccio e Petrarca, con quelle 140mila lire comprai un motorino per mio padre».

E con il calcio? «Giocavo in Matteotti. Ho scritto la mia prima poesia dopo una partita giocata male a Baia Domizia. Fu Franco Scoglio, a formarlo, a portarmi a Gioiese nel 1975 all'età di 17 anni. Andò a parlare con mio padre per chiedergli se poteva portarmi in giro per l'Italia a fare dei provini. Ne ho fatto uno alla Juve al Combi di Torino, poi un altro alla Roma, ma Luciano Moggi ha detto che ero troppo magro. Ero entrato nella nazionale giovanile, il primo di Reggio a vestire la maglia azzurra, poi Scoglio mi ha mandato ad Asti. Non è stato facile per chi è abituato a Calamizzi. Mio padre mi ha detto: "Va bene calcio, ma se non studi e non ti diplomi ti vengo a prendere". Mi sono diplomato all'istituto tecnico».

Poi Fiorentina, un grande amore. «Scoglio sapeva benissimo che Asti aveva ottimi rapporti con la Fiorentina, ma non mi ha detto niente. Prima di me ad Asti era stato anche Giancarlo Antognoni, che incontrai a Firenze nell'estate del 1976. Ero a Coverciano con la nazionale giovanile, un signore molto distinto mi si avvicinò: “Dovresti tagliarti i capelli” mi disse. "E perché?" L'ho fatto. "Perché noi della Fiorentina abbiamo certe regole" mi ha raggelato. Era Egisto Pandolfini, direttore generale della Fiorentina. "Ma non ti hanno detto che è il nostro giocatore?" Lui mi ha chiesto. Mi sono messo quasi a piangere dall'emozione».

Ha trovato uno spogliatoio con tanti giocatori. “Certo. Noi giovani portavamo le valigie a quelli della vecchia guardia, che ci facevano indossare le scarpe nuove per sformarle. Ricordo certe vesciche ai piedi! Ho comprato una Fiat 500L usata, gli altri giravano in Porsche "Quindi è stato così. Se oggi hai un contratto che ti accontenta a vita, che problemi hai? Abbiamo dovuto sudare il contratto anno dopo anno".

L'allenatore era Carlo Mazzone, cosa ricorda? “Un uomo meraviglioso, un padre. Ricordo un allenamento con i tifosi che contestavano la squadra e si arrabbiavano con Casarsa. Andò ad affrontarli a muso duro e ne prese uno per il collo. I giocatori per lui erano bambini. Mi ha fatto esordire a Torino con il Toro in marcatura su Claudio Sala. Non male come esordio a 18 anni. Ho segnato il mio primo gol a Firenze alla Juve di Zoff. Non male anche quello (sorride, ndr)”

A Firenze nasce anche la sua amicizia con Giancarlo Antognoni. «Un ragazzo umile e sensibile, che ha saputo metterti a tuo agio. "Non preoccuparti, dai la palla qui" e ha caricato da campione quale fosse la responsabilità. Da allora siamo amici e giochiamo a golf insieme. È ambasciatore della Fiorentina nel mondo; Mi dispiace vedere che non riesci a trovare una dimensione nella società, come meriti».

Com'è nato il tuo trasferimento a Verona? “Ho trascorso sette anni meravigliosi a Firenze. Ho tanti amici, ho conosciuto mia moglie Francesca, scomparsa nel 2009, e sono nati Matteo e Giulia. Ho anche segnato un giovane Maradona in un'amichevole a Firenze contro l'Argentina campione del mondo. Mi gira ancora la testa (un'altra risata, ndr). Arrivò l'estate del 1982, eravamo secondi in campionato ad un solo punto dalla Juve dopo uno scontro diretto risolto all'ultima giornata quando vinse su rigore a Catanzaro e un gol regolare a Cagliari fu annullato. Il conte Flavio Pontello mi ha detto “Sarai il futuro della Fiorentina”. Sono andato in vacanza in Sardegna con Armando Ferroni, Andrea Orlandini mi ha chiamato: «Ti va bene Verona? Hanno fatto una buona offerta, e la Fiorentina ha accettato ”mi ha spiegato”.

Primo impatto? «La sede della società era una stanza all'interno dello stadio. Alla presentazione della squadra, neopromossa in A, hanno messo un vassoio di patatine e bevande su un tavolo, Bagnoli si è presentato in braghette francescane e sandali. Piero Fanna veniva dalla Juve, io dalla Fiorentina: "Ma dove siamo finiti?" ci siamo detti. In poco tempo abbiamo capito che era una società sana, fatta di brave persone. Ho ritrovato Antonio Di Gennaro e Luciano Bruni, che erano stati miei compagni di squadra in viola. Io, Fanna, Fontolan, Volpati e Guidetti condividevamo un appartamento all'ultimo piano in zona stadio. Senza aria condizionata faceva un caldo infernale. Impossibile dormire; di notte giocavamo a briscola con il lucernario aperto. Ma già lì siamo diventati un grande gruppo. E ho continuato a scrivere i miei pensieri».

Gigi Sacchetti, l'uomo di Belgrado. "Indimenticabile. Il mio gol in Coppa Uefa alla Stella Rossa nella fossa dei centomila del Maracana. Anche oggi a Verona c'è qualcuno che mi saluta dicendomi “Ciao Belgrado!”. Una decina di anni dopo Dragan Stojokovic , un fuoriclasse sbocciato nella Stella Rossa, è venuto a giocare al Verona. "Ma è quello che ha segnato quel gol da queste parti?" chiese ridendo alla presentazione. Quella sera lui e Prosinecki erano tra i raccattapalle.'

Come sei arrivato a vincere uno scudetto a Verona? «Già il primo anno giocavamo un grande calcio con Josè Dirceu, un grande giocatore e un grande professionista con cui dividevo la stanza. Quella Verona era una macchina perfetta, ma per il salto di qualità definitivo ci è mancata quella mentalità vincente che due campioni come Briegel ed Elkjaer ci hanno portato due anni dopo».

Il tecnico di Bagnoli? "Parlava e poco, e quel poco in dialetto di Bovisa, non proprio facile da capire per uno come me che veniva dalla Calabria. Un allenatore che amava il confronto e con cui abbiamo chiarito. Alla Fiorentina ero un centrocampista, mi ha visto come centrocampista. Tanto. C'è sempre stata stima reciproca tra di noi. Un anno la società mi ha messo fuori dalla rosa perché non avevo accettato il trasferimento, beh, mi ha imposto e mi ha fatto giocare in Uefa Cup a Utrecht, il rapporto è rimasto, e ogni tanto andiamo a cena insieme».

Ultima tappa, il ritorno in Calabria a Catanzaro. «Ho avuto un problema al ginocchio, ho giocato solo un anno e ne ho mollati altri due dal contratto. Moreno Roggi poi mi ha fatto andare ad Alessandria dove giocavo pochissimo. La mia carriera era finita».

Era anche un allenatore. «Ho allenato i giovani del Verona, poi sono andato al Novara, dove mi hanno chiamato con la salvezza come obiettivo. Mi hanno esonerato con la squadra quarta. Ho capito che il calcio non faceva più per me».

E cosa fai oggi? «Sono rimasto a vivere a Verona, che è magnifica ed è diventata la mia città. Lavoro nel settore assicurativo da anni, dal 2000 in Assiteca, il primo gruppo di brokeraggio assicurativo in Italia. Vado in Calabria in estate. Non resisto alla bellezza di quel mare e al richiamo della mia terra"

Dove sta andando il calcio, Sacchetti? «Spero di no in Superlega. Sarebbe come portare via Davide da Golia. Spero che tutto si adatti alla logica. Si parla tanto di sostenibilità, ma vedete qualcosa di concreto? Il no"

E quando pubblichi le tue poesie? “Ancora non lo so, ma ci sto pensando. Prima o poi lo farò».

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