Economy, la variante Omicron è una benedizione: ecco perché - FIRSTonline

2021-12-14 19:10:04 By : Ms. Lisa Li

LE MANI DELL'ECONOMIA DI DICEMBRE 2021 - La nuova variante di SARS-Cov-2, che non sarà l'ultima, sta costringendo i governi a prendere a testa alta i non vaccinati, diminuendo il rischio di altre chiusure. L'inflazione ha colpito più di un battito, ma i prezzi di molti beni stanno iniziando a scendere man mano che l'offerta si adegua alla domanda. La Fed stringerà davvero? Lo yuan è troppo forte? E le borse (finalmente) correggeranno?

LE MANI DELL'ECONOMIA DI DICEMBRE 2021 - La nuova variante di SARS-Cov-2, che non sarà l'ultima, sta costringendo i governi a prendere a testa alta i non vaccinati, diminuendo il rischio di altre chiusure. L'inflazione ha colpito più di un battito, ma i prezzi di molti beni stanno iniziando a scendere man mano che l'offerta si adegua alla domanda. La Fed stringerà davvero? Lo yuan è troppo forte? E le borse (finalmente) correggeranno?

INDICATORI REALI - «Non è nei mortali comandare il successo». Non è l'uomo che comanda la fortuna. Leggiamo in Catone di Joseph Addison (1713). E l'avvertimento è arrivato ad ammonire i mortali che credevano di vedere la luce alla fine del tunnel della pandemia di coronavirus, quando è spuntata la variante Omicron, che sembra stia mettendo nuovi bastoni nella ruota della guarigione (e ci sono altre otto lettere di l'alfabeto greco antico prima di arrivare ad Omega...).

Ma Omicron è davvero una vergogna? La "legge delle conseguenze inaspettate" potrebbe colpire ancora e ci sono due argomenti - uno in atto e uno potenziale - che suggeriscono come la nuova variante potrebbe essere una benedizione mascherata, una benedizione mascherata.

Il primo argomento è sotto gli occhi di tutti: in Italia e nel mondo la paura dei Micron ha fatto novanta; sono state cioè accelerate le misure preventive (vaccinazioni a bizzeffe), lenitive (farmaci anti-Covid) e punitive (limitazione all'attività delle persone non vaccinate).

Tutto questo diminuisce il rischio di nuove chiusure e riaccende la luce in fondo al tunnel. Ed è molto interessante come, a seconda delle vaccinazioni, sia aumentata la dispersione dei lockdown tra i Paesi.

Il secondo argomento - potenzialmente, come detto - avanza l'audace ipotesi che il Micron possa essere quello che il medico gli avrebbe prescritto: una variante più contagiosa ma con esiti lievi fa ammalare più persone, senza grandi conseguenze, che guariscono e poi conservano gli anticorpi ( gli anticorpi dei guariti sono 'migliori' di quelli innescati dai vaccini). Così facendo, il Sacro Calice dell'immunità comunitaria si avvicina nel tempo (il termine "gregge" va bene per le pecore). Ma ripetiamo: questa seconda versione della benedizione mascherata attende conferma dai dati.

Nel frattempo, l'Omicron ha fatto qualche danno, inducendo cautela nelle decisioni di spesa e nelle aspettative del mercato. Ma è probabile che queste precauzioni siano temporanee e che l'abbaiare del Micron si riveli più serio del suo morso.

L'economia reale, quando è arrivata la nuova variante, stava già cavalcando la quarta ondata senza grosse conseguenze, in quanto i dati di novembre non segnalavano gravi conseguenze per l'inizio della ripresa.

Se, invece, alziamo lo sguardo dalle preoccupazioni quotidiane e lo allunghiamo verso i prossimi trimestri e oltre il 2022, non possiamo che sottolineare le forze che stanno alla base e sosterranno il robusto aumento della domanda. Innanzitutto un eccesso di risparmio, attuale e cumulato, che fa aumentare i consumi (non appena cadono i vincoli sociali) molto più dell'aumento dei redditi.

In secondo luogo, i tanti ottimi motivi per lanciare al galoppo gli investimenti: profitti copiosi, inadeguatezza della capacità produttiva rispetto agli ordini, innovazione tecnologica green e digitale (che agisce sui prodotti oltre che sui processi), massicci piani di investimenti pubblici.

Tornando ad abbassare lo sguardo al presente, alla buona prestazione della ripresa ci sono due eccezioni, anzi tre. In negativo: la Germania, che ha risentito maggiormente della diffusione dei contagi; e la Cina, dove l'ossessione per il Covid-zero e le crociate del presidente Xi contro gli eccessi del capitalismo stanno portando a un forte rallentamento dell'economia (ovviamente 'rallentamento cinese': il PIL continuerà a crescere nel 2022 del 5% e passa) .

Sul lato positivo, l'eccezione è l'Italia: lo slancio della sua ripresa è più forte del previsto. I dati di novembre, sia per gli indici PMI che per il superindice della Commissione Ue, mostrano che il Paese guida il plotone delle economie avanzate. I numeri del Pil italiano nel terzo trimestre, oltre ad essere buoni in quantità (+2,6% sul trimestre precedente, +3,9% sull'anno), sono buoni anche come qualità, con investimenti in macchinari (esclusi mezzi di trasporto, visto che le auto soffrono ovunque per i noti motivi) che aumentano del 17,2% su base annua e superano di gran lunga i livelli pre-Covid. Infine, le esportazioni crescono più dei mercati di riferimento e di quanto la specializzazione del Made in Italy giustificherebbe.

L'altro peso massimo della congiuntura e della struttura economica mondiale, gli Stati Uniti, ha visto una ripresa dei contagi, anche se meno forte che in Europa. Ma i dati economici continuano ad essere ottimi. Certo, ci sono delle tacche nel potere d'acquisto dovute all'inflazione: ma un aumento del 6,8% dei prezzi al consumo nel corso dell'anno non ha impedito alle vendite al dettaglio di galoppare. L'instancabile consumatore americano non si è smentito e quelle vendite sono aumentate del 15% anno su anno, anche al netto di auto e benzina.

INFLAZIONE - Chi fa male di prezzo, perisce di prezzo. L'adattamento profano del detto latino, che risale alla frase di Gesù nell'orto del Getsemani (sebbene solo Matteo l'abbia riportato), non sembra intimidire chi oggi alza la produzione e i prezzi al consumo. Eppure contiene due verità, anzi tre.

La prima verità è che molte aziende hanno talmente perso dimestichezza con l'aumento dei propri listini da non sapere nemmeno come attuare alcuna intenzione per realizzarlo. E questo non solo in Germania, culla della stabilità monetaria, ma anche in Italia, che negli anni '70 e '80 del secolo scorso avrebbe meritato il cucchiaio di legno, trofeo che nel Torneo Sei Nazioni di Rugby appartiene a chi arriva ultimo ( di solito, purtroppo, il quindici blu).

La seconda verità è che, pur sapendo come fare, molti imprenditori preferiscono premiare la fedeltà dei clienti mantenendo invariati i prezzi. Anche perché sono consapevoli che dopo il bene viene il male, ovvero la riduzione dei listini dalla pressione competitiva. È quindi consigliabile mantenere stabili i prezzi, che fungono da faro guida in un mercato in cui la qualità e il servizio agli acquirenti sono importanti.

La terza, ma non meno importante verità è che l'andamento dei prezzi dei beni industriali è da tempo in calo. Per i vari motivi elencati più volte nelle Lancette, ma vale la pena ripeterlo per chi è ancora incantato dalle sirene monetariste: la globalizzazione ha messo in competizione i lavoratori dei paesi avanzati con quelli emergenti; le nuove tecnologie consentono di trasferire ovunque la produzione e portano ad un aumento della produttività; i sindacati, continuando a difendere gli addetti ai lavori e i pensionati, hanno perso rilevanza; la prevalenza dei servizi nei consumi fa sì che siamo più propensi a spendere al ristorante senza preoccupazioni mentre scappiamo per chi ci vende un manufatto; le vendite online hanno eliminato l'asimmetria informativa a favore dei produttori; la prevalenza della grande distribuzione comprime i margini dei fornitori; le carenze nell'offerta saranno colmate dall'aumento dell'offerta stessa. E nel mercato di molte materie prime questo si sta già osservando.

Riteniamo quindi che l'inflazione non solo tornerà presto a scendere ma, in assenza di una spirale salariale, tornerà ad essere negativa per alcuni prodotti. Quindi, questo significa che l'inflazione è una "tigre di carta"? No, per ora la tigre ruggisce; ma l'anno prossimo miagola.

E il 13 dicembre la riunione straordinaria dei ministri delle finanze del G7 annuncia al mondo che si inasprirà la tacca sugli aumenti dei prezzi; anche se è difficile immaginare come, visto che l'unica vera arma, cioè politiche di bilancio meno espansive, sarebbe una sorta di harakiri. Ma in economia le parole, se credibili, contano quanto le azioni.

TASSI E VALUTE - Nell'arco di due mesi il tasso di inflazione negli Usa è balzato dal 5,4% al 6,8%. Abbastanza, a quanto pare, perché i vigilanti del mercato obbligazionario si affrettino a vendere e richiedano rendimenti più elevati. Niente affatto: i tassi dei T-Bond a 10 anni sono rimasti, come l'edera tenace, intorno allo stesso livello di prima.

Un mese fa abbiamo citato James Carville, consigliere dell'allora presidente Bill Clinton, il quale ha confessato: In caso di reincarnazione, vorrei diventare il mercato obbligazionario così posso "intimidire chiunque". Ma in questo caso, il mercato obbligazionario è stato intimidito.

A cosa è dovuta la sua calma olimpica? Non certo agli acquisti della Fed, che invece sono in fase di riduzione. Sembra che i famosi vigilantes siano convinti che l'inflazione scenderà, e quindi non è il caso di chiedere rendimenti per 10 anni sulla base di una dinamica di prezzo elevata quando è destinata a tornare. Naturalmente anche i timori per il Micron hanno giocato un ruolo: virus e restrizioni potrebbero rallentare l'economia e i tassi a lungo termine ne soffrirebbero.

Stessa cosa si può dire per Bund e Btps: l'inflazione si è accesa anche sopra e sotto le Alpi, anche se non ai livelli statunitensi. E in Europa le tariffe non se ne sono accorte: anche loro praticamente non sono cambiate. Al di qua dell'Atlantico, insomma, i mercati credono nella provvisorietà delle pressioni inflazionistiche e, come in America, quarta ondata + Omicron hanno giocato un ruolo nella calma dei tassi.

La calma, con l'aumento dell'inflazione, ha spinto ulteriormente i tassi reali in territorio negativo. I risparmiatori non saranno felici, ma i mutuatari lo apprezzano. Tutti i modelli econometrici dicono che quando i tassi scendono, il danno per i risparmiatori è inferiore al beneficio che l'economia riceve dagli investimenti (case, magazzini, macchinari, scorte…) e dalle vendite rateali.

Nei mercati valutari, la novità del giorno è lo yuan. La valuta cinese ha continuato ad apprezzarsi nei confronti del dollaro, raggiungendo il livello più alto degli ultimi tre anni. Rispetto ai minimi dello scorso anno si è rivalutata dell'11%; del 12% nei confronti dell'euro, raggiungendo i livelli più alti dal 2015. Il suo andamento non sembra coerente con il rallentamento dell'economia cinese e con i timori e le scosse finanziarie interne legate al caso Evergrande (ma non solo).

Potrebbe essere coerente con il conto capitale della bilancia dei pagamenti, che registra gli afflussi dall'estero. O semplicemente (con la Cina non si sa mai) con la volontà di flettere i muscoli monetari, oltre che militari, senza dimenticare le vanterie del presidente Xi, che dice che la Cina è una democrazia “diversa”.

Continuerà l'apprezzamento della valuta cinese? È vero che la crescente sofisticazione dell'apparato produttivo fa sì che la competitività di prezzo, in quanto influenzata dal tasso di cambio, sia meno importante di prima. Ma è anche vero che la Cina - la fabbrica del mondo - ha tratto le sue massicce eccedenze commerciali da una miriade di prodotti in cui la competitività dei prezzi è ancora importante e le autorità non vorranno mettere a repentaglio questa fonte di reddito.

Il dollaro ha infatti perso terreno con lo yuan, ma lo ha guadagnato con l'euro, per i motivi già accennati: muscoli dell'economia e differenziale dei tassi reali a lungo termine che continua ad aumentare. Questi fattori, uniti al fatto che gli annunci della Fed indicano scadenze più brevi di quelle della BCE, per quanto riguarda un atteggiamento di politica monetaria meno espansiva, suggeriscono che il dollaro continuerà ad essere relativamente forte.

Non c'è molto da dire sui mercati azionari. La correzione è sempre dietro l'angolo e molto dipende, a breve termine, dal Micron e dai suoi dintorni. Ma nel meno breve termine, gli investimenti azionari continuano a essere in cima alla lista dell'allocazione del risparmio: un portafoglio ben temperato ha la quota maggiore di azioni, e giustamente.

Su investimenti alternativi, come le criptovalute, c'è ancora meno da dire: le ultime settimane hanno confermato la folle volatilità di questi strumenti. Non siamo esperti di analisi tecnica, ma, se avessimo Bitcoin nel nostro portafoglio (la possibilità è molto remota), guardando il grafico dei prezzi saremmo molto preoccupati.

Fabrizio Galimberti, nato a Roma nel 1941. Bocconiano, ha studiato alla Columbia University di New York, ha insegnato Finanza a Roma e Ferrara. Poi ha lavorato presso il Dipartimento di Economia dell'OCSE. A Roma, consigliere economico del Tesoro, con Beniamino Andreatta e con Giovanni Goria. Successivamente Chief Economist della Fiat ed infine editorialista del Sole-24 Ore. Luca Paolazzi, Economist, advisor degli investitori Ceresio. Da ottobre 2007 a febbraio 2018 ha diretto il Centro Studi di Confindustria. Dal settembre 1986 al settembre 2007 ha lavorato presso Il Sole 24 Ore, riuscendo a coordinare le redazioni. Dal marzo 1984 all'agosto 1986 è stato economista presso l'Ufficio Studi FIAT. Autore di numerose pubblicazioni di economia, ha vinto i premi Q8, Brizio e Lingotto per il giornalismo economico.

Mani illuminanti quelle di Galimberti e Paolazzi, come sempre, dai tempi del Sun24h. Detto questo, essendo seduto sul banco dei risparmi e non dei produttori, soffro di (spero momentanea) irrequietezza. Fino a sei mesi fa, a fronte di un tasso di rendimento nullo (per la parte liquida o quasi priva di rischio), vedevo un'inflazione pari a zero o poco più. Potrebbe andare. Ora mi trovo in un periodo di tempo (una finestra di inavvertenza!) in cui l'inflazione galoppa e la mia banca centrale non gira sui tassi. È, credo, certo della natura transitoria del fenomeno (Galimberti e Paolazzi corroborano questa convinzione da soli). Ma ahimè, il mio dettaglio ora soffre: tasso di rendimento zero, inflazione 3,6%! Attendo il risveglio dell'offerta globale.

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